Sì, un testo scritto ha un proprio suono e ritmo. Ma da cosa nasce questo ritmo? Si trova in ogni testo? E, soprattutto, un traduttore dovrebbe riprodurre questo ritmo nel suo lavoro di rielaborazione?

Ogni volta che davanti ai nostri occhi appare una parola, nella nostra mente si mettono in atto vari meccanismi. Per esempio, come avevo già scritto qui, uno tra questi meccanismi è quello che collega tra loro significante e significato; e mentre le nostre sinapsi cercano di capire che cosa significhi ciò che stiamo leggendo, succede che la parola stessa acquista un suono: si tratta di un suono immaginario creato dalla mente, simile al suono fisico che avrebbe una parola se la pronunciassimo, ma con l’unica differenza che lo sentiamo solo noi, nei nostri pensieri. Magari proprio mentre state leggendo questo articolo, ne state ascoltando il “suono mentale”.

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C’è da dire che questo meccanismo non si verifica sempre; anzi, a dire il vero, è la prima causa di una lettura lenta. Infatti, se volessimo aumentare la nostra velocità di lettura a mente, ci basterebbe evitare di far risuonare le singole parole e limitarci a far scorrere gli occhi sul testo scritto. Il cervello, se ben allenato, riesce a riconoscere le parole e il loro significato anche senza produrre questo suono mentale. È uno stratagemma che può tornarci utile se ci troviamo di fronte a una pila di documenti dai quali dobbiamo estrapolare solo le informazioni più importanti. Tuttavia, se siamo davanti a un buon romanzo, tanto vale fermarsi un attimo, rilassarsi e godersi il suono mentale delle parole. È da qui che nasce il ritmo di un testo.

È un processo spesso inconscio, come l’atto del respirare, ma che ci permette di godere delle meraviglie che un testo scritto nasconde al suo interno. Indubbiamente, i testi poetici sono quelli che più di tutti ci permettono di percepire un ritmo. Se leggiamo a mente la Divina Commedia, è impossibile non notare il senso di equilibrio ritmico che gli endecasillabi creano nel testo; ma non finisce qui: come la mettiamo con le rime, per esempio, o con le allitterazioni? Se nella nostra mente non pronunciassimo le parole che leggiamo, non ci accorgeremmo nemmeno di tutti questi accorgimenti stilistici.

Sarebbe, però, un errore pensare che sia un fenomeno legato solo alla poesia o alla letteratura più in generale. Nel lavoro di un traduttore, una sfida quotidiana è costituita dalla creazione di frasi che abbiano un certo equilibrio ritmico, senza ovviamente perdere nulla del testo di partenza. Ed è una sfida che si presenta in qualsiasi testo, che si tratti di un manuale o di un volantino pubblicitario. Non si tratta di creare degli endecasillabi danteschi, bensì di ricercare un equilibrio ritmico all’interno della frase. È per questo che spesso ci capita di rileggere a voce alta quello che abbiamo appena scritto: la lettura a mente ci aiuta tanto, ma è solo pronunciando le parole che ci rendiamo pienamente conto del loro suono.

In letteratura, sono tanti gli esempi in cui il ritmo narrativo riveste un ruolo chiave nella stesura di un paragrafo o di una frase. Se uno scrittore ci vuole descrivere una scena concitata, magari una battaglia tra due eserciti, o il naufragio di un marinaio in balìa delle onde, lo farà con un ritmo adeguato alla scena: le frasi saranno più brevi, e anche le parole stesse saranno più corte. Con un po’ di sensibilità, noi lettori ci sentiremo più coinvolti dal racconto.

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Uno tra gli esempi più belli di ritmo del testo scritto che mi sia mai capitato di leggere è in un passaggio di Watt, un romanzo del 1953 di Samuel Beckett, che giocava spesso col suono delle parole. Provate a leggere a mente o a voce alta questo passaggio:

Personally of course I regret everything. Not a word, not a deed, not a thought, not a need, not a grief, not a joy, not a girl, not a boy, not a doubt, not a trust, not a scorn, not a lust, not a hope, not a fear, not a smile, not a tear, not a name, not a face, no time, no place…that I do not regret, exceedingly.

Sembra un treno in corsa! A partire da “not a word”, si ha l’impressione che la lettura imbocchi una discesa, acquistando sempre più velocità, fino ad arrivare a “no time, no place”, una brusca frenata prima di schiantarsi contro il muro del “that I do not regret”. È evidente che l’ampia quantità di monosillabi e bisillabi in inglese (di cui avevo già parlato) rende più semplice la creazione di passaggi come questo. Il romanzo fu successivamente tradotto in francese dall’autore stesso (che era bilingue), e questo gioco sonoro andò perso, come anche nella traduzione italiana.

Nel caso appena descritto, è abbastanza evidente come l’autore ce l’abbia messa tutta per trasmetterci il ritmo del suo testo, lo stesso ritmo che lui aveva in testa e che è riuscito abilmente a plasmare sotto forma di testo scritto. Tuttavia, considerando che la percezione del ritmo di un testo è molto soggettiva, non è sempre facile ottenere il risultato di Beckett, e gli accorgimenti stilistici di un autore rischiano talvolta di passare inosservati.

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