Adoro Francesco De Gregori, voglio bene a Bob Dylan e navigo con piacere nel campo della traduzione da qualche anno a questa parte. Detto ciò, avrei già abbastanza motivi per voler bene anche a questo album, l’ultimo del cantautore romano, uscito qualche giorno fa, l’occasione ideale per aggiungere un secondo capitolo alla discussione sulla traduzione delle canzoni che abbiamo iniziato qui.
Fermo sull’uscio, ancora prima di entrare in questo piccolo viaggio cantautoriale, mi colpisce particolarmente la scelta del titolo: Amore e furto, una combinazione di parole che rimanda indietro al 2001, quando Dylan pubblicò Love & Theft, una sorta di finestra sulle influenze musicali che storicamente lo avevano accompagnato. Adesso la situazione è ribaltata, è Dylan la fonte di ispirazione, diventando vittima di un “furto” di canzoni.
La bellezza del titolo, a mio avviso, non si trova tanto in questo collegamento filologico, quanto nel fatto che nella sua brevità esprime la vera essenza della traduzione: amore per un’opera o per uno scrittore, ma anche furto di parole, emozioni e anime che vengono reinventate e riscritte dal traduttore in un’altra lingua. E l’amore di De Gregori per Dylan non è mai stato un segreto, anzi è stato sempre dichiarato dalla sua armonica, la chitarra, quel modo di cantare un po’ ruvido e strascicato.
Oltretutto, ci sono dei precedenti: nei primi anni ’70, De Gregori aveva già tradotto Desolation Row a quattro mani, insieme a Fabrizio De Andrè, conosciuto qualche tempo prima al Folkstudio, storico locale di Roma da cui sono passati tutti i più grandi cantautori italiani di quegli anni. Ne era venuto fuori Via della povertà, un brano che è stato ripreso, ritradotto e inserito anche in questa raccolta.
L’album è interessante perché si inserisce in maniera calzante nelle diatribe sulla traduzione poetica e sulla questione della fedeltà sì, fedeltà no, reinvenzione sì, reinvenzione no, ma soprattutto il traduttore dev’essere anch’egli un poeta o no?
A giudicare dal risultato, possiamo dire che il nostro Principe, per brevità chiamato artista, se l’è cavata egregiamente. In un’intervista a Repubblica.it, ha parlato un po’ della scelta delle canzoni, affermando di non poter «prescindere dalla cantabilità del testo italiano. È un mondo misterioso quello della traduzione. Prenda Just like a woman: non puoi tradurlo. Letteralmente diventa Come una donna, suona uguale, eppure è ridicolo. L’importante è che il tutto, cantato, non diventi grottesco».
Come ogni traduttore, De Gregori si è dovuto scontrare con le perdite che inevitabilmente subisce una traduzione di respiro letterario. Ma a fronte di una perdita, subentra la compensazione; è per questo che gli arrangiamenti delle canzoni, cioè la parte prettamente strumentale, sono rimasti il più vicino possibile alle versioni originali, di certo ben lungi, per esempio, dallo stravolgimento di Knockin’ on Heaven’s Door nella celebre cover dei Guns’n’Roses. A Rockol.it il cantautore ha spiegato che «[…] nella traduzione inevitabilmente si perde qualcosa, quindi almeno negli arrangiamenti volevo essere più aderente. Nelle parole, il ritmo e la metrica ti impongono qualche cambiamento. C’è una ricerca della fedeltà che è sempre disattesa, perché non si può tradurre per filo e per segno. Per mantenere la bellezza e la gradevolezza della canzoni qualche cambiamento va fatto per forza».
Si dice che un traduttore metta una piccola parte di sé in ogni traduzione, e lo fa quasi inconsapevolmente, per esempio scegliendo una parola piuttosto che un’altra. E c’è un verso di Dylan, “You could be known as the most beautiful woman/Who ever crawled across cut glass to make a deal”, tradotto con “Vorranno tutti sapere qualcosa e se è stato difficile/Camminare sui pezzi di vetro e ritrovarsi qua”. Quel “cut glass” è stata l’occasione perfetta per inserire un “pezzi di vetro” che risuona molto familiare nelle orecchie dei fan del cantautore, che penseranno immediatamente alla sua celeberrima canzone del 1975, Pezzi di vetro, forse una tra le più belle della sua discografia.
Sempre a Rockol.it, De Gregori ha raccontato anche i casi in cui si è arreso di fronte a una traduzione, sia perché può risultare difficile tradurre rispettando i paletti perentori della metrica e del ritmo, sia perché, come dice lui «quando affronti il lavoro di un altro, devi avere umiltà, disciplina. Chi ti dà il permesso di tradirlo? Cammini sulle sabbie mobili, facendo questo lavoro. Ti salvi perché lo ami, e io amo questo materiale: in nome di questo amore, accetto anche la sconfitta di non essere riuscito a tradurre tutto. [Per esempio] My back pages, con quel meraviglioso “I was so much older then, I’m younger than that now”, che è forse il verso preferito di Dylan di tutti. Ma non si può tradurre, come fai su quella linea melodica?».
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