Se ci riferiamo al campo editoriale, la risposta alla domanda del titolo è semplice: no, tradurre solo una volta non basta, soprattutto se l’ultima traduzione di un romanzo, racconto o poesia ha già quei suoi due o tre decenni d’età. La causa di tutto ciò è imputabile principalmente a due fattori: l’evoluzione delle teorie e delle prassi traduttive, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, e (soprattutto) l’evoluzione continua e irrefrenabile della lingua.
Lucio Dalla diceva che «il pensiero, come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare». E così è la lingua: una continua evoluzione che è quasi impossibile tenere a bada o condizionare con provvedimenti di varia natura. Chiaramente, se osserviamo il fenomeno attraverso i secoli, i risultati dei cambiamenti appaiono molto amplificati. Sperando di non fare un paragone troppo frettoloso e superficiale, possiamo dire che esiste un abisso tra la lingua scritta di Boccaccio o Leopardi (due a caso) e quella dei giorni nostri. Tuttavia, certe evoluzioni si possono notare anche a distanza di pochi anni, come tra le due edizioni della celebre opera di Manzoni (i Promessi sposi del 1827, detta “ventisettana”, e quella del 1840, detta “quarantana”). Uno degli interventi messi in atto da Manzoni nella seconda stesura è stato l’eliminazione dei pronomi egli/ella, che in alcuni casi vengono sostituiti da lui/lei (egli, da 862 a 64 occorrenze; ella, da 482 a 6 occorrenze). Tra l’altro, in quei decenni la lingua italiana subiva una grande evoluzione, soprattutto perché la neonata Italia (1861) aveva bisogno di una lingua comune, più vicina possibile alla lingua popolare e che non fosse più una lingua prevalentemente scritta.
Adesso scurdámmoce ‘o ppassato e veniamo ai giorni nostri. Basta menzionare due fenomeni a caso, abbastanza diffusi, per renderci conto di come cambi la lingua: l’uso della d eufonica, che è ormai limitato ai casi in cui ci siano due vocali uguali (per esempio, si tende a non scrivere più fino ad oggi oppure ed ora basta, ma si usa solo in casi come ad ascoltare), oppure la decadenza sempre più diffusa del congiuntivo a favore dell’indicativo in frasi introdotte da verbi come credere, pensare, sembrare. Nel primo caso si tratta di una prassi che si è ormai consolidata, nel secondo è una tendenza sempre più diffusa.
Le ritraduzioni, quindi, alla luce di ciò, diventano necessarie per mettersi al passo con i tempi; confrontare le diverse traduzioni di uno stesso romanzo può essere un modo utile e interessante per osservare i cambiamenti di una lingua. Il 2014 è stato l’anno che ha visto la ritraduzione de Il giovane Holden per mano di Matteo Colombo, che ha sostituito la vecchia traduzione di Adriana Motti del 1961 (titolo originale The Catcher in the Rye, di J.D. Salinger). Colombo ha deciso di “svecchiare” la traduzione: un esempio utile è l’eliminazione, in molti casi, del passato remoto, sostituito dal passato prossimo, in luogo del past simple inglese, oltre a una serie di interventi per rendere più “contemporanee” alcune espressioni colloquiali. Nel seguente esempio, invece, è possibile notare come certe scelte linguistiche siano condizionate anche dall’atteggiamento generale del mondo editoriale contemporaneo, di certo più aperto all’uso di termini come “stronzate”, usato da Colombo, invece di “baggianate”, usato negli anni ’60 da Motti per tradurre l’inglese crap. Ecco le traduzioni dell’incipit:
Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. (Motti)
Se davvero volete sentirne parlare, la prima cosa che vorrete sapere sarà dove sono nato, e che schifo di infanzia ho avuto, e cosa facevano e non facevano i miei genitori prima che nascessi, e altre stronzate alla David Copperfield, ma a me non va di entrare nei dettagli, se proprio volete la verità. (Colombo)
Anche per questi motivi, quindi, le ritraduzioni diventano necessarie con il passare del tempo: la lingua cambia e le traduzioni hanno bisogno di mettersi al passo con i tempi. Solo le opere letterarie originali, poiché hanno un valore a sé stante, non invecchiano, con buona pace di chi propone delle traduzioni intralinguistiche: l’opera viene tradotta nella stessa lingua di origine, ma più contemporanea, con tutti i rischi del caso, come quello di rinunciare al gusto di leggere i racconti del Decameron, così come scritti ai tempi.
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