Questa straordinaria popolazione africana del Mali, composta da 250.000 individui circa, occupa la regione della falesia di Bandiagara a sud del fiume Niger.  

I Dogon sono un popolo pacifico e laborioso che, in un territorio arido, sono riusciti a creare delle vere oasi di verde con coltivazioni a terrazze e piccole dighe in pietra per la raccolta dell’acqua. Vivono essenzialmente di agricoltura, producendo miglio, sorgo, tabacco, spezie, le migliori cipolle del Mali e farina di miglio, dalla quale ricavano anche una birra. 

In queste comunità vige la poligamia, in base alle disponibilità economiche maschili, tuttavia, il matrimonio è sempre subordinato al consenso da parte della donna, la quale possiede proprietà personali.  

Capo politico, religioso, spirituale e sociale di ogni comunità è l’hogon, il quale oltre al compito di tramandare oralmente le tradizioni e il sapere comunitario, presiede un consiglio di otto anziani. Abita in solitudine a spese del villaggio in una capanna utilizzata anche come tempio.  

La lingua 

La lingua dogon appartiene al gruppo grusi delle lingue semibantu. In realtà è una macro-lingua, formata da una ventina di dialetti, con numerose varianti a seconda del villaggio, che ultimamente si sta cercando di standardizzare. Ogni membro di questa popolazione ha quattro nomi, tutti con un significato linguistico. Quindi per evitare problemi con altre parole di uso comune, vengono presi dai dialetti di altre tribù. Curioso sapere che uno di questi nomi fa riferimento alla madre, uno all’età, uno invece è proibito e segreto mentre l’ultimo è “corrente”. 

L’arte e la cultura

I Dogon sono anche abili fabbri e scultori. In passato, hanno realizzato statue solenni raffiguranti i loro antenati, i mitici Tellem, figure antropomorfe in legno, talora combinate con animali o con esseri ermafroditi, ritratte in atteggiamenti spesso drammatici (per esempio, le braccia alzate per invocare la pioggia o la bocca aperta come per gridare). 

Molto diffuse e variegate sono le maschere. Possono presentare tratti umani, antropozoomorfi o semplicemente zoomorfi. Fra tutte, la maschera lignea kanaga, sormontata da una croce uncinata, simbolo, secondo Griaule, dell’equilibrio fra cielo e terra e quindi dell’ordine universale, è quella dal più profondo significato cosmico.  

Caratteristiche sono anche le porte dei granai, arricchite da rilievi collegati alla cosmogonia.  

Marcel Griaule  

I Dogon divennero famosi grazie ai lavori di Marcel Griaule, un etnologo francese che ha vissuto tra loro per oltre vent’anni. Nel suo Dio d’acqua (1948), Griaule ricostruisce attraverso le conversazioni con un anziano cacciatore cieco, Ogotemmêli, l’elaborata e complessa concezione cosmogonica dei Dogon, mostrando come anche nel cuore dell’Africa sia possibile rintracciare raffinate filosofie e visioni del mondo. 

Sapere millenario

Il popolo dei Dogon stupisce per l’enorme bagaglio di conoscenze astronomiche, impensabili per una popolazione priva dei più elementari strumenti scientifici e che ha stabilito il primo contatto con l’uomo “civilizzato” nei primi anni del secolo scorso. Già a quei tempi i Dogon possedevano conoscenze di carattere astronomico che teoricamente non avrebbero dovuto avere, conoscenze ancora ignote dalla scienza ufficiale dell’epoca.  

Molti studiosi ritengono che il sapere iniziatico dei Dogon derivi da un retaggio culturale antico migliaia di anni, e il fatto che gran parte di tale sapere sia di carattere scientifico indurrebbe a ipotizzare che in epoche remote gli antenati dei Dogon abbiano interagito con una civiltà molto più evoluta e tecnologicamente più avanzata.  

Da sempre sanno, per esempio, che l’universo è composto da un’infinità di stelle, che la Luna è un satellite “morto e dissecato”. Conoscono la rotazione della Terra attorno al proprio asse in 24 ore e l’orbita attorno al Sole di 365 giorni. Sanno che i pianeti ruotano attorno al Sole, che Giove possiede 4 lune principali, che Saturno dispone di anelli concentrici e che la Via Lattea ha una struttura a spirale. Tutti fenomeni che non si possono certo osservare a occhio nudo. 

Ma la cosa più sorprendente è che han sempre saputo dell’esistenza non solo della compagna della stella Sirio (Sirio B) che orbita attorno a essa, ma anche di una terza compagna, Sirio C, infinitamente più piccola, dove secondo la leggenda dogon si formano e ritornano tutte le anime dei mortali.  

I Dogon e la Genesi 

I Dogon vedono il mondo come una cosa unica dove convivono in armonia il mondo delle cose, degli animali e degli uomini, dove l’uomo non è il padrone assoluto, ma soltanto un elemento che come gli altri partecipa al mondo.  

Semplificando al massimo, essi credono nella sopravvivenza dell’anima e in un unico dio. Amma è il creatore dell’Universo e si accoppiò con la Terra, Yurugu, generando i Nommo, due gemelli ermafroditi e anfibi, metà uomo e metà pesce. A loro volta i gemelli generarono otto esseri umani, quattro maschi e quattro femmine, gli antenati dei Dogon, che si sparsero per la terra insegnando le diverse arti. 

Animisti convinti 

La religione animista Dogon si esprime attraverso cerimonie e danze rituali, in cui le maschere sono l’elemento più importante.  

Ogni cinquant’anni, quando Sirio appare tra due cime montuose, viene celebrato il Sigui. In questa occasione, gli uomini intagliano la Grande Maschera, detta “Iminana”, dalle fattezze di un serpente allungato che raggiunge anche un’altezza di 10 metri. Durante il Sigui, i Dogon mettono in scena danze rituali e narrano la storia delle loro origini servendosi dell’Iminana, la quale viene conservata in una caverna segreta sopra il villaggio.  

Anche la disposizione degli edifici del villaggio ha un suo valore simbolico. Se si osserva lo schema dall’alto, ne esce la figura di un uomo che giace supino disteso da Nord a Sud. La testa è costituita dalla fucina del fabbro e dal togu-nà, la “casa della parola” (un tetto di paglia sostenuto da 8 pilatri che rappresentano gli antenati dei Dogon) dove l’hogon e gli anziani si ritrovano per discutere le questioni importanti del villaggio. Il petto è rappresentato dalle case di argilla e fango delle famiglie facoltose. Le mani dalle capanne ai due estremi del villaggio dove si isolano le donne durante il periodo mestruale. I piccoli altari in basso in piedi. 

L’enigma 

Queste affermazioni, riportate da Griaule nel suo libro, determinarono un vero shock per l’Occidente e pongono ancora oggi inquietanti interrogativi tutt’altro che risolti. 

Altre civiltà antiche svilupparono conoscenze astronomiche piuttosto approfondite, basandosi sull’osservazione a occhio nudo del cielo stellato.  

L’etnia Dogon, tuttavia, si differenzia notevolmente da queste civiltà in quanto le conoscenze astronomiche di cui gli anziani e i sacerdoti sono in possesso costituiscono un vero e proprio nozionismo scientifico, la cui natura e origine sfuggono ancora a una spiegazione razionale. 

Nel 1976, l’americano Robert Temple pubblicò con ampio successo il libro Il mistero di Sirio, giustificando tali conoscenze con un contatto avvenuto tra Dogon ed extraterrestri sbarcati sulla loro terra. Nonostante questa ipotesi sia assolutamente priva di fondamento scientifico, non si può tuttavia ignorare come la tradizione dogon narri di un’Arca circolare, proveniente da Sirio B, la quale atterrò producendo un rumore assordante e provocando una violenta tempesta di sabbia. Da questa sarebbero scesi esseri metà uomo e metà pesci (i Nommo), che dopo aver cercato un luogo dove vi fosse acqua per potersi immergere, portarono agli uomini la conoscenza. Non va dimenticato che esseri a forma di pesci venuti dallo spazio sono presenti anche nella mitologia di Babilonesi, Accadi, Sumeri ed Egizi.  

Per saperne di più sugli stadi della conoscenza di questo affascinante popolo:
https://www.youtube.com/watch?v=x0c1x1pU7e4

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