“Non sei d’accordo con me?”

“Assolutamente!”

Ma assolutamente sì o assolutamente no? È la prima e immediata reazione dell’interlocutore.Assolutamente è un avverbio che può accompagnare verbi, aggettivi, così come le locuzioni e no, ma usato da solo in risposta a una domanda, può dare luogo ad ambiguità. Questo uso diassolutamente non è proprio della lingua italiana: porta con sé, infatti, l’ombra del calco dall’inglese absolutely, con l’unica differenza che l’inglese contempla l’impiego  di questo termine in un contesto isolato senza l’aggiunta di locuzioni.

Esistono altri esempi simili, come realizzare, preso a piene mani dall’inglese realize, inteso come accorgersi/rendersi conto: “Ho guardato l’orologio e ho realizzato che era tardi”. Oltre a essere una soluzione di dubbio gusto estetico, non è propriamente corretta da un punto di vista semantico, in quanto realizzare in italiano ha principalmente il significato di eseguire, costruire, far diventare realtà qualcosa; il significato di rendersi conto, invece, è considerato un calco dall’inglese.
doppiaggesMa qual è la causa alla base di questi fenomeni? L’importazione di termini dall’inglese all’italiano è ormai pratica comune (si pensi a tutta quella sfilza di verbi inglesi a cui viene applicata la coniugazione in ‒are), ma in questo caso piuttosto che all’italianizzazione di parole straniere, bisogna prestare attenzione ai calchi da altre lingue: spesso il calco è a tal punto impercettibile che la parola appare come un termine italiano in piena regola. La causa di questi processi va ricercata nel cosiddetto “doppiaggese”.

La settima arte, o più semplicemente, il cinema, è un fattore così rilevante nelle nostre vite che ha delle inevitabili ripercussioni sulla lingua parlata. Bisogna riconoscere che in Italia possiamo contare su doppiatori tra i più bravi al mondo. Talvolta i traduttori con cui lavorano fianco a fianco, anche per necessità, cadono nella trappola del calco. Il doppiaggio di un film in una lingua diversa da quella originale impone delle restrizioni a cui bisogna attenersi fedelmente, prima tra tutte la sincronizzazione tra voce e labiale. Ed ecco che la frittata è fatta: tutta una serie di parole o espressioni sono entrate, o almeno ci hanno provato, nella nostra lingua. Lì per lì non ce ne accorgiamo: ascoltiamo un enunciato reo di calco fraudolento prendendolo per buono, come fosse un’espressione comune nella nostra lingua, ma poi, riflettendoci su, realizziamo ci rendiamo conto che non è così. Leggendo la lista che propongo qui di seguito, tratta daTreccani , è utile fare questo gioco: per ogni espressione, chiediamoci a mo’ di litania “io userei veramente queste parole parlando con un mio amico?”.

 

  • Dannato,dannazione dannatamente (dall’inglese damndamned) invece di maledettomaledizione maledettamente (e lo stesso vale per fucking)
  • Dacci un taglio (cut it out) invece di smettila, piantala finiscila
  • Ci puoi scommettere! (You bet! You can bet!) invece di senza dubbio! Ci puoi giurare!  Te lo giuro!  Naturalmente! Lo credo bene!
  • Posso aiutarla? (Can / may I help you?) invece di desidera?
  • Andare a vedere qualcuno (to see someone) invece di andare a trovare qualcuno
  • L’hai detto! (You said it!) invece di proprio così
  • O cosa? (Or what?) invece di o no?per caso e simili: mi prendi in giro o cosa?

 
doppiaggeseOk, basta con gli esempi, ci do un taglio! C’è da dire che non è solo colpa dei film doppiati se alcune parole entrano nell’uso comune della lingua italiana: anche il cinema nostrano ha da sempre avuto la medesima influenza sulla nostra lingua. Basti pensare a Federico Fellini, a cui si deve l’introduzione di parole come amarcord (ricordo personale, rievocazione nostalgica del passato) dal filmAmarcord, 1973; dolcevita, da La dolce vita, 1960; senza dimenticare Totò, con il suo neologismopinzillacchera (cosa da nulla).

Un’altro aspetto interessante del doppiaggio, da un punto di vista traduttologico, è l’approccio che viene messo in atto nella traduzione: abbiamo già parlato ditraduzione target oriented contrapposta alla traduzione source oriented. Al contrario di ciò che succede nell’ambito letterario, la traduzione nel cinema è per lo più target oriented, ossia mira a ridurre il più possibile gli elementi culturali (i famosi culturemi) presenti in un copione, ed eliminarli o sostituirli con qualcosa di più familiare all’orecchio dello spettatore. Una ragione di ciò può essere identificata in un aspetto meramente pratico: un lettore, trovandosi di fronte a un elemento di cultura straniera nel testo, ha il tempo di fermarsi, rileggere, ragionarci su, fare delle ricerche e scoprire che si tratta effettivamente di un elemento della cultura straniera da cui proviene il libro. In un film, uno spettatore non ha a disposizione questo tempo (a meno che non abbia la pazienza di mettere il film in pausa) e quindi dev’essere tutto più digeribile, più fruibile, più affine alla cultura ricevente.

Scent of a Woman – Profumo di donna, oltre a essere un film bellissimo per il quale Al Pacino è stato premiato con un Oscar, ci offre un esempio di neutralizzazione dei culturemi. Nella scena del primo incontro tra Charlie e Frank Slade, quest’ultimo chiede informazioni sul mestiere dei genitori di Charlie:

 

Charlie: “My stepfather and my mom run a convenience store”

Frank: “Oh, how convenient? What time they open?”

 

Tradotto in italiano così:

Charlie: “Il mio patrigno e mia madre hanno un supermercato”

Frank: “Huu, che allegria, commercianti! E a che ora aprono?”

Oltre al gioco di parole traconvenience e convenient, in italiano si perde il riferimento alconvenience store, un mini-market molto diffuso negli Stati Uniti, solitamente aperto 24 ore, con prezzi più bassi di un supermercato, e con vari articoli di prima necessità. Oltretutto, mentre il titolare di un supermercato è solitamente una persona benestante, il convenience storerimanda a un’idea di scarsa ricchezza da parte dei titolari. Ma uno spettatore italiano solitamente non sa cosa sia un convenience store, e per questo motivo, è stato meglio evitare di inserirlo.

Un esempio di vero e proprio adattamento nel doppiaggio può essere considerato l’uso variegato di accenti regionali italiani nel doppiaggio de I Simpson: il poliziotto napoletano (seguendo uno stereotipo italiano secondo cui le nostre forze dell’ordine sarebbero in gran parte provenienti dal sud), il giardiniere sardo (che in realtà indossa un kilt scozzese), l’autista dello scuolabus milanese, fino ad arrivare al malavitoso Tony Ciccione, che in originale è ovviamente italiano, nella versione italiana diventa, ovviamente, siciliano (Il Padrino docet). Non sembra esserci una stretta correlazione tra le varietà linguistiche della versione originale e quelle della versione italiana, ma lo sforzo dell’equipe addetta al doppiaggio è più volto a rendere in modo pittoresco e goliardico la varietà delle lingue parlate nella versione originale, mettendo in atto una pratica che in letteratura non sarebbe vista di buon occhio, come avevo già scritto qui. Giusto per rinfrescarci i pensieri, concludo rimandando alla visione della famosissina scena di tango di Scent of a woman, sulle note della splendida Por una cabeza, di Carlos Gardel e Alfredo Le Pera.

 

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