Dell’impossibile scissione, della pura evasione, dell’imprescindibilità dell’incontro nell’era dei social e dello champagne, tout court.
Amélie Nothomb è una donna e un personaggio perennemente in bilico tra la biografia, che emerge dalle ricerche e i pettegolezzi di giornalisti e curiosi, e i dettagli autobiografici che lei stessa dissemina nei suoi romanzi. A partire dalla dicotomia che coinvolge la sua anagrafica, che registra la sua nascita a Kobe (Giappone) il 13 agosto 1967 e al tempo stesso a Etterbeek (Belgio) il 9 luglio 1966, passando per la sua eccentrica tenuta total back, i bizzarri copricapi e il tocco vermiglio delle labbra, per giungere alla sua ossessione per lo champagne e il colore arancio e alla sua dichiarata e anacronistica fedeltà per la casa editrice Albin Michel, che non solo pubblica da sempre la sua copiosa produzione ma funge anche da contatto tra lei e i suoi fan (Amélie Nothomb è un’entità estranea al mondo social che si concede al suo pubblico solo tramite i numerosi momenti di presentazione, interviste e dédicasses): il mistero che avvolge la scrittrice contribuisce alla mitizzazione del personaggio accrescendone il fascino sul lettore.
Il suo stile e il suo vocabolario esitano perennemente tra le formulazioni che appartengono alla letterarietà e al passato e i neologismi del più attuale argot. La sua plume è vivace e vibrante, densa ma diretta, abbondante e metaforica. Il suo olimpo letterario è popolato da personaggi della banlieue e figure oscillanti tra mito e letteratura, disseminato di temi che contemplano – oltre a se stessa – il mestiere dello scrivere e l’amore in ogni sua declinazione. Il tutto cosparso da citazioni dotte e annaffiato da tanto, tanto champagne.
Leggere i suoi romanzi (che si articolano tra pretestuose autobiografie, sagaci misteri che aprono su improbabili scene del crimine, fittizie invenzioni dall’amaro retrogusto, opere teatrali e leggende rivisitate rispetto alla tradizione a cui appartengono) è come “seccare” una flûte di champagne ghiacciata in un sorso: la narrazione non concede una lenta degustazione e l’ultima riga incalza a “rabboccare”. Ma, se questo accade spesso e con tanti altri romanzieri, Amélie Nothomb, nel suo perpetuo cambio scena, tra autrice e personaggio, non incita solo a svaligiare la libreria sotto casa di tutti i suoi titoli: Amélie Nothomb, la vuoi conoscere. Vuoi capire se esiste veramente. Se è come si descrive e come la descrivono. Se oltre all’anticonformismo del cappellino c’è di più.
Per questo, mimetizzandomi tra una pletora di ammiratori che dall’interno della Hoepli di Milano si snodava in fila indiana lungo il perimetro di tutto l’isolato, ho ottenuto una dedica su un romanzo “rivelatore”, Pétronille: la storia della sua ricerca sistematica di un CONVIGNON (ovvero un compagno di bevute – quand’anche COMPAGNO non renda bene l’idea in quanto etimologicamente connesso alla condivisione del pane, non del vino) con cui condividere il sommo piacere (lo champagne) e dell’inaspettato incontro della persona giusta durante una sessione di dediche in una libreria del XVIIe arrondissement.
L’ho fatto con una bottiglia di Prosecco delle CANTINE DADALT nello zaino (perché lo champagne è un nettare divino ma il mio percorso umano ed enologico mi impone sempre di proporre alternative nostrane e altrettanto allettanti) e porgendola a Amélie Nothomb ho specificato (senza voler giustificare): “Non è champagne ma…”. La sua risposta è arrivata pronta, laconica e non preconfezionata: “Rifiuto solo le bastonate”. A seguire l’autografo e la dedica in italiano “à Martina SALUTE!”.
Ed eccomi qui oggi a scrivere questo post per gli scettici, per chi pensa che il personaggio pubblico finga per professione, per i lettori che temono la delusione dell’incontro: Amélie Nothomb o è ciò che scrive oppure è una costruzione narrativa perfetta. In entrambi i casi, vale la pena scambiarci due battute. Oltre all’immagine che proietta c’è una persona accogliente, che crede ancora nello champagne, nelle dediche e in Albin Michel.