Ci sono quelle scritte piccole piccole in fondo ai contratti che, se non le leggi, rischi di vederti recapitare inenarrabili sanzioni. Si chiamano note legali.
Ci sono quelle che vengono inserite per ampliare il discorso su argomenti non pertinenti alla narrazione o per rinviare alla bibliografia. Si chiamano note del Redattore.
Ci sono quelle degli interpreti che vengono “prese” durante il discorso dell’oratore e usate come supporto per la restituzione consecutiva (da cui il nome della tipologia di interpretazione) del discorso dell’interprete al pubblico. Sono le notes.
Ci sono poi, oggetto della trattazione odierna, quelle dei Traduttori.

Per quanto un detto medievale reciti a ragione che “Excusatio non petita, accusatio manifesta” partirò con un’autodenuncia di inadeguatezza: non sono una traduttrice e non dispongo delle solide basi accademiche necessarie per argomentare scientificamente il tema. Parlo da Project Manager, tramite e mai destinatario delle note dei traduttori, che sono rivolte al pubblico dei lettori, i veri fruitori delle traduzioni.
Come tutti i profani, tenterò quindi di avvalorare la tesi partendo dalla citazione di un grande pensatore e traduttore d’eccezione recentemente scomparso che si è chiaramente espresso sull’argomento definendo la NOTA DEL TRADUTTORE “l’ultima ratio” perché “la nota a piè di pagina ratifica la sua [del traduttore] sconfitta”.

Definition of word in dictionary

Il traduttore scrive per un pubblico non suo, è invisibile. È un’ombra a mezzogiorno: meglio lavora, meno si nota. Fa un lavoro frustrante: a volte la traduzione è meglio dell’originale e i fruitori tessono le lodi dell’autore. La nota del traduttore è l’unico momento in cui un traduttore si permette di uscire dall’anonimato e parlare al pubblico (ricordiamolo, il pubblico che non sta leggendo lui ma l’autore). E lo fa per fare pubblica ammenda a causa di un’espressione che non è riuscito a traghettare nella sua lingua d’arrivo. La nota acquisisce pertanto le fattezze del biasimo, anche quando è pienamente giustificata.

La NdT, insomma, dovrebbe essere un avvertimento del traduttore che confessa al lettore di non essere stato in grado di fare il suo mestiere. Ma la traduzione non è sempre fattibile? Quando non si può tradurre? Se gli scellerati ottimisti ritengono che per ogni espressione in una lingua esista una corrispondenza esatta e univoca in un’altra (quelli per i quali – per intenderci – “APPLE=MELA” è una relazione che esiste per ciascuna parola di tutto il vocabolario di qualsiasi lingua) e se i tragici pessimisti non accettano nessuna corrispondenza tra le lingue (per i quali REPUBBLICA≠REPUBLIQUE visto che quella italiana è parlamentare e quella francese è presidenziale), i traduttori si collocano nel “grande centro”, dove convivono pacificamente approssimazioni, compromessi e note del traduttore, ovvero sconfitte. E le sconfitte a volte fanno seguito a dure battaglie, come lo stesso Umberto Eco suggerisce quando parla della fondatezza della nota che chiarisce un gioco di parole.

Quindi come PM, vorrei spezzare una lancia per i traduttori che denunciano il loro limite e si espongono al pubblico vilipendio. Insomma, le pubblicità o la letteratura sono spesso oggetto delle note dei traduttori perché il linguaggio è poetico, è elaborato, ricco di sottintesi e di ammiccamenti che possono non trovare un equivalente nella lingua della traduzione. Ma, nella selva delle note che quotidianamente leggo come PM, molte scollinano dalle tipologie testuali della letteratura e della pubblicità; e la nota diventa uno strumento che il traduttore usa per farsi ascoltare. Perché è frustrante fare il traduttore, lo confermo. Ma certe note, credetemi, lo sono altrettanto.

Vediamone alcune tipologie.

La rivendicativa. Visto che è spesso vittima di critiche da parte di autori che si sentono madrelingua in tutte le lingue del mondo contemporaneamente oppure portavoce della Verità Assoluta, il traduttore medio si avvale dello strumento NdT per segnalare e correggere errori di spelling o geografici fatti dall’autore nel testo di partenza. Per una volta, quindi il traduttore, con un moto di orgoglio, si vendica dell’autore attribuendo a lui le imperfezioni dei contenuti. Condivido volentieri a titolo esemplificativo una NdT ricevuta qualche settimana fa da un traduttore a cui è stato chiesto di tradurre una lista di nomi geografici:

“ho lasciato perdere gli errori di battitura e nomi scritti male (es. “islas navidena” non esiste in nessuna lingua, nemmeno in spagnolo, è l’isola di natale), ma credo che va aggiornato l’elenco perché ci sono dei paesi che non esistono più, o che hanno altre sigle internazionali adesso, e alcuni casi, secondo me, potrebbero essere molto delicati (es. “serbia e montenegro” – si sono divisi nel 2006 e la serbia ha mantenuto questa sigla, mentre montenegro ne ha una nuova; lo zaire non è più il nome del paese)”

Di fronte a cotanto zelo, un project manager medio si chiede se sia necessario approfondire la questione balcanica e le date di separazione controllando i trattati internazionali o se sia invece il caso di capire che ne è stato dello Zaire, scoprendo con sommo gaudio (da una googleata che lo ha reindirizzato su Wikipedia) che, per la Legge della conservazione della massa, questo paese non è sparito ma si è trasformato in Congo. E dopo aver concluso la ricerca, il PM, si interroga: non sarebbe stato più veloce scrivere CONGO al posto di ZAIRE?

La cultural-bound: con questa tipologia di nota il traduttore si esprime sul merito, senza limitarsi alla sola forma, per agevolare la comprensione del suo pubblico con il quale condivide non solo una lingua, ma una cultura diversa; in una ricetta in cui lo chef suggeriva in italiano di

“Aggiungere i calamaretti sminuzzati e i gamberi, infine lasciare insaporire.”
Laddove molti non avrebbero sollevato riserve, il sollecito traduttore, dopo aver tradotto
“Add the finely diced baby squid and the prawns, and leave to let the flavours combine.”
non si nega il piacere di una NdT sotto forma di domanda (che ha il sapore dello spassionato consiglio):
“per quanto tempo si lascia insaporire?”

Perché si sa: a un anglofono, soprattutto in cucina, bisogna dare chiare istruzioni su come condire i ravioli. Nulla può essere lasciato al caso.

La ripetitiva: si tratta di note che tornano con frequenza e che il traduttore medio continua a segnalare nonostante sia chiaro che non c’è possibilità/intenzione di intervenire e modificare l’errore che lui si ostina a portare all’attenzione. E citerei l’esperienza di una collega che da 3 anni effettua traduzioni di un modulo prestampato della pubblica amministrazione i cui contenuti di compilazione (nomi/dati/risposte dei sottoscriventi) cambiano ma, ovviamente, restano immutate le parti “statiche”, le domande, e tutto ciò che è scritto sul modulo vergine. La mia collega spedisce da tre anni i moduli compilati ai medesimi traduttori che da 3 anni traducono il prestampato e da tre anni segnalano un errore di battitura nel modulo vergine. Un giorno la mia collega ricevette una traduzione da uno dei suddetti traduttori SENZA la NdT. Con un’espressione di vittoria mi guardò e mi disse: “Non mi hanno segnalato l’errore del modulo nel testo di partenza: hanno capito che non si può cambiare!”. Aprendo il file, tuttavia, ci accorgemmo che i traduttori non avevano dimenticato o tralasciato di scrivere la nota: era cambiato il modulo. La morale? È più semplice aggiornare un modulo della pubblica amministrazione che convincere un traduttore sull’impossibilità di farlo.

 

Chiudo qui la carrellata perché sarebbe inutile tentare di essere esaustivi (visto che di note ce ne sono tantissime ogni giorno) e perché già so che mi sto giocando la futura collaborazione dei traduttori che si riconosceranno in quanto detto sopra.
Ma in conclusione vorrei ringraziare i traduttori per le note.
Perché, per quanto ci si possa scherzare e per quanto siano faticose (visto che condividerle con gli autori non è mai semplice, senza ferire la loro sensibilità), le NdT sono a volte un’occasione di approfondimento o di scoperta (avrei potuto lasciare questo mondo senza sapere che il precedente nome del Congo era Zaire), altre volte motivo di due risate (perché la differenza tra le lingue denuncia una differenza di cultura che, credetemi, a volte è molto divertente). E poi perché è bello scoprire che dietro quelle parole dal suono esotico, ci sono dei traduttori che lavorano con passione e curiosità e che vogliono condividere con qualcuno il loro lavoro, uscendo dall’ombra che hanno scelto di abitare professionalmente.

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