“Pain is inevitable. Suffering is optional.” La fatica è una realtà inevitabile, ma la possibilità di farcela o meno è a esclusiva discrezione di ogni individuo. (Murakami Haruki, L’arte di correre)

Solamente un anno fa ero nella corsia di destra insieme a tutti gli staffettisti, e guardavo con ammirazione i corridori che mi passavano accanto nella corsia di sinistra. Pensavo che loro, tutto sommato fossero persone normalissime, ma come facevano a ricoprire quell’immensa distanza di corsa? 42 km e 195 m? Solo dei pazzi masochisti potrebbero compiere un’impresa simile! Alcuni di loro erano tutti nervi e sembravano dei veri professionisti con le loro divise tecniche. Molti altri, invece, non davano per niente l’impressione di esserlo: alcuni in sovrappeso, altri di mezza età, altri ancora con il marsupio e le scorte d’acqua infilate in strane cinture sportive. Proprio quella normale umanità mi faceva provare una grande invidia e cominciai a pensare: “Se ce la fanno loro posso farcela anche io”. È passato un lungo anno, ho fatto molti allenamenti, ho corso con costanza cercando di dare il massimo ogni volta che uscivo con le mie Asics e la mia maglia fluorescente, ho smesso di fumare e di bere alcolici, ho cercato di non perdere mai un allenamento. Se pioveva, correvo indoor sul tapis roulant; se avevo mal di schiena, andavo in piscina. Ho fatto ripetute, massaggi e stretching, ho corso la mattina prestissimo e la sera tardi, ho rinunciato a tante uscite con gli amici per riuscire ad allenarmi la domenica mattina e ho pure corso quando Milano era completamente imbiancata dalla neve. Mi sono reso conto che sbagliavo, quando un anno fa minimizzavo l’impegno dei corridori della corsia di sinistra. Non si può correre una maratona intera prendendo sottogamba l’allenamento, un processo che richiede tempo e fatica. Anche se alcuni non avevano l’aspetto di veri atleti, sicuramente anche loro, come me, avevano lavorato tanto sia dal punto di vista fisico che mentale.

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Alla fine, è arrivato il grande giorno. Domenica 12 aprile 2015 c’ero anche io nella corsia di sinistra insieme ai maratoneti iscritti alla 15esima SuisseGas Milano Marathon. Ho corso con disinvoltura i primi 30 km a un ritmo di 5,30 al km, poi ho cominciato a diminuire, al 36esimo km ho avuto un forte calo fisico e motivazionale e pensavo di mollare. Mi sentivo male come se avessi la febbre, appena toccavo il terreno con la punta dei piedi sentivo partire un crampo che dal polpaccio saliva su per la coscia, avevo caldo, la gola secca e mi infastidiva tutto, ma poi l’orgoglio ha avuto la meglio e ho stretto i denti cercando di resistere. Guardavo per terra e mi dicevo che era semplice, bastava solamente mettere un piede davanti all’altro. Ripetendo a me stesso “il dolore è inevitabile, la sofferenza è opzionale”, alla fine ce l’ho fatta! Ho superato la crisi e gli ultimi 2 km sono riuscito ad aumentare chiudendo la maratona in 4h e 7min! Il tempo sinceramente non mi importa, come per la maggior parte dei maratoneti dilettanti, l’importante è portarla a termine senza mai mollare, e così è stato!
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Forse è troppo esagerato parlare di filosofia di vita e non penso che correre sia una pratica così nobile da andarci fieri, però, nel mio caso, è stato un percorso che mi ha insegnato tanto e invito chiunque a provarci. Magari non ne avrete il tempo e la voglia, ma mettetevi alla prova, siate ambiziosi, alzate sempre di più la vostra asticella e puntate sempre più in alto. La soddisfazione è impagabile! Vi lascio con le parole di un corridore, non un maratoneta, ma un mito dello sport italiano: “Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano. Nello sport come nella vita.” Pietro Mennea

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