Custodi della politica linguistica europea sono da lungo tempo il Consiglio d’Europa (CoE) e l’Unione europea (UE). Nel corso degli anni, grazie all’importanza crescente di queste due organizzazioni nonché ai cambiamenti storici e geopolitici europei e internazionali, il rispettivo campo di indagine e di intervento si è esteso all’ambito culturale e, con esso, all’interesse per l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue straniere a favore di un’Europa del plurilinguismo e del multilinguismo.

Il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER) rappresenta l’ultima fase di un processo avviato negli anni Sessanta sotto l’egida del Consiglio d’Europa allo scopo di promuovere una cittadinanza democratica europea, fornendo agli operatori coinvolti nell’insegnamento e nell’apprendimento delle lingue una descrizione degli obiettivi, metodi e risultati da poter applicare e conseguire in modo congiunto e coerente.

Fu a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta che si mossero i primi passi verso una più attenta analisi dei metodi – nuovi e tradizionali – di insegnamento delle lingue straniere e relativi problemi, con particolare riferimento all’educazione linguistica degli adulti. Nel 1964 si diede il via all’ambizioso programma decennale Major Project, Modern Languages (1964-1974) con l’obiettivo di superare le barriere che rendevano frammentario l’insegnamento delle lingue straniere nel Vecchio continente e promuovere una maggiore integrazione. Questo progetto di enorme portata confluì nella Raccomandazione (69)2 del Comitato dei Ministri (l’organo decisionale del Consiglio d’Europa), una pietra miliare nella storia della glottodidattica del XX secolo, poiché ribadì che l’apprendimento delle lingue straniere aveva l’obiettivo di permettere agli europei di comunicare e cooperare liberamente preservando la diversità e la vitalità delle rispettive lingue e culture. Rifiutava l’elitismo e si prefiggeva di offrire a tutti la possibilità di studiare le lingue straniere, dalla scuola primaria all’istruzione superiore e a quella per adulti, in un’ottica di apprendimento permanente. Riconobbe il potenziale della tecnologia informatica, l’importanza della formazione degli insegnanti, la necessità di una riforma degli esami di lingua e dei metodi per il testing nonché un programma di ricerca e più efficace condivisione dei risultati ai professionisti del settore.

Gli anni Sessanta e Settanta furono un periodo di grande fermento nel campo degli studi di linguistica applicata che, insieme alle innovazioni introdotte nell’insegnamento e apprendimento delle lingue straniere, esercitarono grande influenza teorica sull’attuazione del modello europeo. Queste circostanze contribuirono al lavoro di un gruppo di esperti chiamato a collaborare con il Consiglio d’Europa al fine di valutare l’applicabilità di uno schema europeo di unità/crediti nel campo dell’apprendimento linguistico degli adulti: il progetto sull’educazione permanente noto come Modern Languages Project (1971-1981). Attingendo all’esperienza maturata nell’ambito del Major Project e alle linee guida della Raccomandazione (69)2, la commissione di esperti a capo del progetto si focalizzò sui concetti di apprendimento permanente, di centralità e autonomia dell’apprendente nonché sull’analisi delle situazioni e delle sue esigenze di studio.

La politica linguistica in Europa e il livello soglia

Nel 1975 fu pubblicato il Threshold Level, seguito dal Niveau Seuil nel 1976, dal Nivel Umbral nel 1979, dal Kontaktschwelle nel 1980 e dal Livello Soglia nel 1982 per quanto concerne le principali lingue europee. Il Threshold Level (Livello Soglia) – corrispondente oggi al livello B1 – è un repertorio di nozioni grammaticali e culturali e di funzioni linguistiche contenente gli elementi necessari per avere una soglia di autonomia comunicativa in una data lingua.

Lungi dall’essere un modello statico il Livello Soglia è stato elaborato per numerose altre lingue, contribuendo alla promozione di quelle minori oltreché alla revisione e all’ampliamento dello stesso Threshold Level per l’inglese, ripubblicato nel 1990. In questo contesto, a seguito della conquista dell’indipendenza dall’ex URSS, i Paesi Baltici ebbero l’esigenza di ridare alle proprie lingue nazionali la centralità perduta a livello di vita pubblica. Fu interpellata dunque la sezione Lingue Moderne del Consiglio d’Europa, oggi nota come Divisione Lingue Moderne, allo scopo di fornire un supporto nell’attuazione di una politica linguistica legata all’impiego e alla cittadinanza. Con la sua consulenza furono quindi sviluppati, accolti e adottati test e procedure in linea con l’approccio comunicativo e la politica linguistica perseguiti dal CoE e, allo stesso tempo, si accrebbe l’interesse nei confronti del Threshold Level fino a portare all’elaborazione delle versioni per l’estone, il lituano, il lettone come pure per l’ungherese, il rumeno, il ceco, il russo e lo sloveno. Lo stesso accadde per altre lingue europee quali il galiziano (1993), il catalano (1992), il gallese (1996), il maltese (1996) e il greco (1999), a dimostrazione del ruolo creativo ricoperto dal concetto di Threshold Level nell’arco dei decenni a favore del rinnovamento delle basi per l’insegnamento delle principali lingue ma anche del consolidamento delle lingue e culture di paesi più piccoli, minoranze territoriali, lavoratori emigrati e rifugiati.

Se il Livello Soglia era stato inizialmente considerato il più basso all’interno di uno schema europeo di unità/crediti, i successivi studi evidenziarono l’esistenza e la necessità di elaborare livelli inferiori – da cui hanno preso vita il Waystage e il Breakthrough (equivalenti agli attuali livelli A2 e A1) – e livelli superiori – ossia il Vantage, l’Effective Operational Proficiency e il Mastery, corrispondenti ai livelli B2, C1 e C2.

L’idea da cui muove la politica linguistica europea è il valore inestimabile attribuito alle identità nazionali, custodi a loro volta delle lingue regionali. Dal punto di vista meramente pratico, la diversità linguistica costituisce un problema: 24 lingue ufficiali in cui tradurre la documentazione europea e da garantire durante gli incontri ufficiali rappresentano un costo e una complessità organizzativa senza eguali. Eppure, il rispetto della diversità è un principio fondante dell’UE e il «problema» smette di essere tale se inserito in una realtà più grande e ricca di sfaccettature.

politica linguistica in europa

Bibliografia

Balboni, P.E. (2012) Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, 3^ ed. Torino, UTET Università.

Piva, C. (2008) Il Framework europeo per la didattica delle lingue moderne: presentazione e note, Edizioni Erranti, Cosenza.

Trim, J.L.M. (2007) Modern Languages in the Council of Europe 1954-1997.

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