È lo stesso sito della Farnesina a dichiararlo: la lingua italiana, nel 2014, è la quarta lingua più studiata al mondo dopo l’inglese, il francese e lo spagnolo, con un totale di 687mila studenti (senza contare scuole e corsi privati).

Un risultato inatteso per i non addetti ai lavori, una conferma per linguisti e cultori dell’italianistica, anche perché l’anno scorso a febbraio nasceva l’associazione CLIQ, un sistema che riunisce sotto un unico marchio di qualità i quattro enti certificatori della lingua italiana, ossia l’Università per Stranieri di Perugia, l’Università per Stranieri di Siena, l’Università degli Studi Roma Tre e la Società Dante Alighieri. Questa associazione, in linea con gli standard scientifici fissati dal Consiglio d’Europa nel “Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue”, è nata allo scopo di superare, tra le altre cose, la frammentazione delle offerte di studio destinate agli studenti di italiano nel mondo.

Tra gli istituti universitari più avanzati in termini di offerta e ricerca nell’ambito della didattica dell’italiano per stranieri, l’Università Ca’ Foscari ha recentemente ospitato Fieritals, l’evento più importante a livello nazionale dedicato all’editoria dell’italiano a stranieri. Nel programma di mini-conferenze organizzate per l’occasione, è stato dedicato ampio spazio al digitale, sia per la sua capacità di aggiornarne i materiali più rapidamente rispetto ai supporti cartacei, sia perché il digitale come il web consentono di mantenere vivo il dialogo con persone dislocate in tutto il mondo, permettendone l’accesso ai materiali.
Ma qual è il motivo di tanto successo? Secondo quanto emerso da un articolo del Corriere della Sera, la ragione è molteplice. Innanzitutto, la cultura italiana gode di grande fama, da Dante agli scrittori contemporanei. In secondo luogo, la musicalità dell’italiano è sempre molto apprezzata e la lirica, nell’ambito della quale prevale, ne è un esempio pratico. Anche il cibo, soprattutto negli ultimi anni, ha spinto tanti stranieri a studiare il nostro lessico, magari solo per leggere le nostre ricette. In aggiunta a questo, mi sento di affermare che l’italiano, quale figlio del latino, può risultare più intuibile a chi ha intrapreso studi classici, ed è più facile rispetto a lingue come il cinese, il polacco o l’ungherese – per citare alcuni esempi.

I risultati sopra descritti lasciano sperare in una politica capace di sfruttare le nuove condizioni del mercato delle lingue e della competizione culturale per valorizzare le potenzialità del patrimonio italiano anche in termini economici. L’idea, pertanto, è analizzare la nostra lingua come fattore di sviluppo, anche economico, per l’intero Paese. Un esempio per tutti? Avere studenti stranieri in Italia che parlano italiano è una garanzia di futuri rapporti con le classi dirigenti di molti paesi in rapido sviluppo economico.

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