Chiunque abbia dei bambini piccoli, sperimenta i loro progressi quotidiani con grande stupore. Pur consapevoli delle loro potenzialità, però, a volte ci si lascia guidare da preconcetti che in qualche modo ne sminuiscono le capacità, per esempio quando si rifiuta di esporli a ogni forma di apprendimento precoce – musica, discipline sportive, lingue straniere ecc. – a favore della loro spensieratezza, perché “tanto c’è tutta la vita per imparare”. Posto che questa affermazione è assolutamente condivisibile e che i bambini non dovrebbero essere iperstimolati, ho pensato che fosse interessante conoscere il parere degli esperti in materia di apprendimento precoce delle lingue straniere.

Innanzitutto, parafrasando le parole di Paolo Balboni, professore ordinario di Didattica delle lingue straniere moderne all’Università Ca’ Foscari di Venezia, imparare una lingua non è difficile, ci riesce un bambino che, nonostante la sua tenera età, ha un cervello perfettamente funzionante, tanto che a 36 mesi comincia a dire “io ando!”, generando autonomamente lingua sul modello dei verbi regolari. Dedurre una regola, cioè un meccanismo ricorrente della lingua (grammatica) è possibile anche a un adulto, sebbene il suo cervello non sia più perfetto come apprenditore – a meno che non abbia imparato tante lingue da piccolo.

Questa premessa ci porta a sfatare il mito dello spazio neurologico secondo il quale “esiste uno spazio limitato nel cervello per il linguaggio”. Questa idea, risalente alla prima metà del secolo scorso, è legata alla nozione secondo cui “la presenza della L1 (lingua madre) nel cervello del bambino non potesse che costituire un ostacolo neurologico allo sviluppo della L2 (seconda lingua)”. Tuttavia, le “ricerche più recenti sull’organizzazione del linguaggio nel bambino bilingue […] mostrano come la presenza di due codici verbali nel cervello porti ad un “arricchimento cerebrale”. […] Questo implica che l’educazione bilingue porta il bambino al raggiungimento di un alto livello di consapevolezza metalinguistica che, a sua volta, lo porta ad una maggiore consapevolezza metacognitiva rispetto ai suoi coetanei” (Danesi in Balboni 1999: 9-10).

educazione bilingue

Un altro punto da chiarire è la definizione di “bilinguismo”, che Freddi (in Balboni 1999: 1-2) spiega così: “Il bilinguismo può essere, per così dire, totale o parziale: nel primo caso si ha un possesso completo ed equilibrato delle due lingue relativamente al capire, al parlare, al leggere e allo scrivere; nel secondo caso una lingua è posseduta completamente mentre l’altra lingua è posseduta parzialmente. […] Il bilingue “perfetto” è pertanto colui che conosce in modo bilanciato due lingue diverse e sa manipolarle a livello delle quattro abilità di base (capire, parlare, leggere e scrivere). Se questa sua competenza si estende su più di due lingue, egli sarà trilingue, quadrilingue, plurilingue, ecc.”.

Secondo una definizione dell’UNESCO risalente al 1970, “la lingua materna segna per l’essere umano la via essenziale grazie alla quale egli entra a far parte della sua società, fa propria la cultura del gruppo di appartenenza e pone le basi per lo sviluppo delle sue capacità intellettuali”. È da questa affermazione che Scaglioso (in Balboni 1999: 26-30) prende le mosse per ribadire l’importanza della madrelingua quale “lingua che pone il bambino in comunicazione con l’ambiente in una intenzionalità e circoscrizione semantica ben più forti della comunicazione di natura pre-verbale […], in un processo di interazione tra fattori ereditari e innati e fattori ambientali più propriamente culturali”. A una lingua legata soprattutto agli scambi affettivi, egli affianca il concetto di “seconda lingua”, definendola come lingua del contesto sociale il cui utilizzo favorisce le relazioni e gli scambi secondo percorsi diversi dalla L1. Vista in quest’ottica, la L2 si presenta come un’opportunità di ricchezza umana e culturale e non in contrapposizione con la lingua madre e la cultura che la riguarda. Per esempio, i dialetti italiani sono delle vere e proprie lingue, perfettamente funzionanti nei loro meccanismi grammaticali, e la diffusione del fenomeno dialetto-lingua nel nostro Paese è un’ulteriore prova dell’arricchimento individuale e sociale che può derivare dal bilinguismo/plurilinguismo, a scapito della visione di quanti, “interrogandosi ansiosamente sugli svantaggi del bilinguismo precoce, hanno parlato della condizione negativa nella quale vivrebbe il bilingue”. 

educazione bilingue

Tabouret-Keller (in Balboni 1999: 54) riprende il discorso, affermando che “la principale preoccupazione delle famiglie di fronte a una situazione linguistica complessa per i loro figli è legata ad una vecchia idea, residuo [di un ideale di unità linguistica intangibile]: il fatto che il bilinguismo sia pericoloso per il bambino piccolo”. Altre situazioni linguisticamente complesse nel mondo ci dimostrano che il “bambino che nasce in un ambiente plurilingue può senza alcuna difficoltà e senza conseguenze negative apprendere e parlare nelle due lingue contemporaneamente”, sebbene egli possa andare incontro ad alcune resistenze, soprattutto in ambito scolastico, in società come la nostra – praticamente plurilingue ma idealmente monolingue. Tali difficoltà, ad ogni modo, tendono a risolversi man mano che il bambino cresce e può compensare il suo “sentirsi diverso” con i vantaggi – di cui diventa sempre più consapevole – derivanti dalla competenza plurilingue.

Al ruolo dell’età è legata anche la riflessione di Titone (cfr. in Balboni 1999: 31-49) sull’acquisizione delle lingue, riassunta da Michele Daloiso. “L’autore riporta con chiarezza i tratti salienti delle recenti ricerche [in materia] […] e sottolinea che da questi studi emerge la necessità di evitare facili affermazioni del tipo “più giovani si è, meglio si imparano le lingue”, cercando piuttosto di considerare il fattore “età” come uno dei molteplici aspetti che influenzano l’acquisizione linguistica (tra cui il contesto, la preparazione metodologica dell’insegnante, la dimensione psico-affettiva, il rapporto tra L1 e L2…). Riferendosi in particolare alla L2 […], [Titone] afferma che non esistono prove sufficienti a convalidare l’ipotesi secondo cui gli allievi più giovani siano avvantaggiati nell’acquisizione delle lingue. È possibile però sostenere che gli studenti più giovani, se esposti con una certa continuità alla L2, hanno maggiori probabilità di successo, secondo un criterio del tipo “quanto più giovani tanto meglio, a lungo andare”. Una disamina attenta dei dati, per quanto contrastanti, provenienti dalle ricerche sul campo, sembra postulare perciò una molteplicità di cause, tra loro interagenti, nel processo positivo di acquisizione linguistica, al di là della semplice età”.

Alla luce dei contributi sopraccitati, desidero riassumere le motivazioni e le modalità di attuazione di un insegnamento linguistico precoce, partendo dal presupposto che i bambini devono essere guidati nella scoperta del fenomeno linguistico attraverso il contatto con varie lingue (éveil aux langues), l’accostamento a una lingua straniera e una metodologia ludica della didattica. Nella sua dimensione politica e sociale, l’apprendimento linguistico precoce mira all’intercomprensione tra i cittadini dell’UE e all’idea di trasformare un bambino italiano in un bambino europeo. Questo è possibile prima dei 10 anni di età sia per quanto riguarda l’identità sociale sia per il bilinguismo. Nella sua dimensione neurologica e psicologica, come abbiamo già detto, la presenza di due o più lingue nel cervello porta a un arricchimento cerebrale. Nella prassi, infine, una glottodidattica precoce dovrà basarsi su tre capisaldi didattici, ovverosia l’integrazione tra la lingua straniera e il curricolo, la flessibilità dei modelli operativi (rispettando cioè i tempi, lo stile e l’affettività del bambino) e i concetti di ludicità e sensorialità, solo per citare alcuni dei criteri da adottare nella didattica per bambini indicati da Freddi (cfr. Balboni 2008: 163-175).

Bibliografia

Balboni P. E. (a cura di), Educazione Bilingue, Perugia, Guerra Edizioni: 1999.

Balboni P. E. Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino,

UTET: 2008.

Balboni P. E. Videolezione di didattica di lingue moderne: 2011.

 

Pin It on Pinterest