L’ispirazione per questo post è nata leggendo un articolo diffuso da BBC Culture: In questo articolo, Keith Houston si sofferma inizialmente sul controverso dibattito e-book vs libri che infiamma il campo editoriale dei nostri giorni e ci spiega come il libro cartaceo, a noi così familiare, in realtà sia solo il frutto di una lunga evoluzione.
Il libro così come lo intendiamo noi sta cambiando: i libri elettronici, meglio conosciuti come e-book, sono più pratici dei “gemelli” cartacei, sono facilmente reperibili e fruibili (con un semplice click si possono scaricare decine di titoli da poter leggere su diversi dispositivi).
L’e-book offre più di una semplice lettura: la fruibilità, la multimedialità e l’interattività del formato elettronico, tuttavia, preoccupano chi vede nell’e-book una minaccia per il libro tradizionale.
Inutile dire, quindi, che i libri e la lettura in generale sono in piena rivoluzione e Keith Houston ci mostra come una diatriba simile si sia tenuta quando il primo libro così come lo concepiamo noi è venuto alla luce nell’antica Roma.
Circa 2000 anni fa, nella Roma del I secolo d.C., un nuovo e non ortodosso tipo di libro rischiava di sovvertire l’ordine prestabilito, con grande dispiacere dei lettori del tempo.
La scrittura, nell’età di Augusto e dei primi imperatori, era ovunque: statue, monumenti e lapidi erano cosparse di iscrizioni latine; i cittadini scrivevano e si scambiavano messaggi su tavolette di legno coperte di cera; le biblioteche private dei patrizi erano rifornite di libri di storia, filosofia e arti. Ma questi non erano i libri come li conosciamo noi: erano rotoli, realizzati con fogli di papiro egiziano uniti tra loro in rotoli da 4,5 a 16 metri di lunghezza.
Nonostante la popolarità, questi rotoli possedevano due grandi difetti: in primo luogo richiedevano di essere letteralmente “srotolati” con l’ausilio di entrambe le mani per permettere una lettura agevole, la scrittura si sviluppava su 2 colonne di testo e non presentava un fronte e un retro poiché il papiro arrotolato rischiava di frantumarsi. Il secondo e più preoccupante difetto era proprio il papiro, materiale estremamente fragile. Gli archeologi hanno, infatti, rinvenuto pezzi di papiro usurati ai margini per via dei continui sfregamenti sugli abiti dei lettori del tempo.
In quegli anni, un nuovo tipo di libro si proponeva di affrontare e risolvere queste difficoltà. I reperti di alcuni frammenti di papiro che presentavano parti di testo su entrambe le facciate indussero a pensare non più al semplice rotolo ma a un vero e proprio libro.
Sappiamo che i Romani chiamarono questo nuovo tipo di libro “codice” (in latino “codex” derivato da “caudex” ovvero tronco d’albero, perché il legno era proprio il materiale utilizzato per le tavolette), ma come il codice sia venuto alla luce resta ancora un mistero. La prima traccia del codice appare in uno scritto del poeta romano Marziale che incoraggiava i lettori ad acquistare i suoi libri in questo nuovo formato:
Qui tecum cupis esse meos ubicumque libellos, et comites longae quaeris habere viae ; hos eme, quos arctat brevibus membrana tabellis ; scrinia da magnis : me manus una capit.
[Tu che sempre desideri teco i miei libri, e vuoi che compagni ti siano fin ne’ viaggi tuoi; le piccole mie tavole compra, cui pelle cinge; pon le grandi ne’ plutei: queste una man le stringe].
Questa epigrafe di Marziale ci fa capire come la situazione fosse cambiata radicalmente con il codice, che non imponeva più limiti al lettore. Rispetto ai rotoli di papiro fatti di singole e fragili pagine, i codici di pergamena potevano essere piegati e impilati uno sull’altro, legati nel mezzo con un filo e potevano presentare una copertina. Robusto, funzionale e accessibile: il codice si presentò come il libro del futuro.
A partire dalla fine del II sec., la percentuale di codici era molto superiore a quella dei rotoli e si componeva principalmente di pergamena. Il rotolo continuò a esser usato per documenti di archivio o note personali, mentre il codice si impose in campo letterario, scientifico e religioso. I libri di pergamena quindi si affiancarono a quelli già esistenti, fino ad arrivare alla stampa su carta e, ora, al libro elettronico.
Il fascino ancestrale della scrittura e dunque la necessità dell’uomo di diffondere il Sapere è in continuo mutamento, ogni volta cambia le sue fattezze pur restando invariato, perché il libro è soprattutto del lettore. I libri digitali hanno cambiato sicuramente le abitudini di lettura di tante persone, ma io continuerò sempre “romanticamente” a pensare che possedere un libro sia un privilegio: non sceglierlo ma farsi scegliere, sfogliare le sue mutevoli pagine e sentire il profumo della carta, avrà sempre qualcosa di magico.