Ma perché parli tre lingue insieme?

Mi sento ripetere questa frase abbastanza spesso. Negli ultimi 10 anni ho vissuto e lavorato per lunghi periodi in Italia, in Francia e in Australia. Questo fa di me una parlante abbastanza competente oltre che nella mia lingua madre, l’italiano, anche in francese e in inglese. Conducendo tutt’ora una vita un po’ nomade, mi capita spesso di usare espressioni inglesi in francese o francesi in italiano e di farcire così tanto le conversazioni con espressioni in altre lingue che colleghi e amici hanno iniziato a prendermi in giro. Alcuni sostengono che lo faccia apposta, alla fine sono quattro anni che abito in Italia no? La verità è che io ho sempre parlato un po’ così, mischiando il dialetto e le espressioni gergali all’italiano. Lo fa la mia famiglia, lo fanno molti dei miei amici. Quindi quando ho introdotto altre due lingue la situazione è effettivamente sfuggita di mano.

L’altro giorno, mentre facevo una ricerca su internet per trovare spunti per il blog di Eurologos ho scoperto che non sono l’unica a parlare così, anzi si tratta di un fenomeno linguistico piuttosto comune tra gli expat (o emigrati, se vogliamo usare il termine italiano che non mi verrebbe mai in mente al primo tentativo). Il fenomeno si chiama code-switching e fa sì che si il passi da lingua all’altra all’interno della stessa conversazione.

Si tratta di un fenomeno comune nelle comunità bilingui, come ad esempio gli ispanici in Nord America. In una definizione più ampia del termine, il code-switching include anche il passaggio da un registro formale ad uno più informale o dal dialetto alla lingua standard. Le persone che parlano in questo modo conoscono bene entrambe le lingue, quindi non scelgono una parola perché non ne conoscono il corrispettivo, bensì perché avendo a disposizione un vocabolario bilingue (o trilingue) piuttosto vasto, scelgono quella che per loro esprime meglio il significato che vogliono comunicare.

Emilia e Sophie parlando entrambe francese e italiano. Le loro conversazioni sono spesso un flusso bilingue.

Il cuore parla sempre la lingua madre

Generalmente la nostra lingua madre è collegata a livello inconscio ai nostri valori profondi, ai ricordi d’infanzia e alle nostre reazioni più istintive. Per questo motivo quando viviamo all’estero ci affidiamo ad essa per esprimere sentimenti profondi come lo shock, la rabbia o la paura.

Io per esempio inveisco contro i guidatori distratti solo in italiano, sia che mi trovi a Milano, a Melbourne, a Parigi o nel cuore dell’Indonesia. Quasi sempre infilo esclamazioni di stupore italiane mentre contratto in inglese sul prezzo delle cose in India o in Asia. Oppure quando parlo con i miei amici stranieri ma sono troppo stanca o troppo arrabbiata, passo all’italiano per disperazione e chi vuole capire capisca.

Un altro motivo per cui avviene il code-switching è che vivendo a lungo all’estero, le parole e le frasi della lingua locale tendono a insinuarsi nelle altre lingue, specialmente quando si parla di cose super divertenti tipo le tasse, la burocrazia o il mercato immobiliare.

Un argomento particolare può essere poi collegato ad una lingua specifica anche per motivi personali: le esperienze che si hanno in un Paese sono spesso legate al suo idioma. Ad esempio, io fatico molto a parlare di surf in italiano. Ho imparato in Australia e surfo solo all’estero, di conseguenza conosco i termini specifici solo in inglese. Non ho nessuna idea di come si chiami la corda che lega la tavola alla caviglia (leash), né le meravigliose cadute di faccia dalla cima dell’onda (nose dives) o il venire travolti e trascinati a riva dalle onde (to be wiped out).
Allo stesso modo, tutti i miei fidanzati e fidanzatini sono sempre stati italiani, di conseguenza non conosco il lessico dell’amore in francese o in inglese… Così come avendo fatto la cuoca in Australia conosco molto bene le parole della cucina in inglese ma non ne conosco il corrispettivo in francese, nonostante abbia abitato in Francia per molto più tempo.

Io e la mia amica Cristina mentre cerchiamo di spiegare mezzo in italiano e mezzo in inglese che cosa ci facciamo in India senza mariti.

Perché avviene il code-switching

Uno dei motivi per cui il nostro cervello sceglie una parola in una lingua diversa rispetto al quella in cui stiamo parlando è la sensazione che sia più appropriata. Peccato che non sia nella lingua in cui stiamo parlando in quel momento! Invece di passare in rassegna la corteccia linguistica per trovare una traduzione corretta, io dico spesso “switchare” per non dover scegliere tra i meno precisi “scambiare” o “spostare”. Oppure uso “voilà” in fondo alle frasi, perché mi sembra una chiosa più appropriata di “ecco” o di “ok”. A volte il corrispettivo nella lingua in cui si sta parlando non è abbastanza specifico o abbastanza generico e per questo si innesca il code-switching. L’espressione scelta ci aiuta a comunicare meglio un pensiero o una sensazione. Le parole intraducibili fanno sicuramente parte di questa casistica, ma anche espressioni perfettamente traducibili possono sembrarci più accurate in una lingua piuttosto che in un’altra.

Le mie amiche filippine parlano una lingua che mescola generosamente il tagalog (filippino tradizionale) con lo spagnolo e l’inglese, per via del retaggio coloniale dell’arcipelago. È lo stesso per la nostra amica Vatsala che mescola hindi e inglese quando parla con la sua famiglia.

Let’s keep switching!

“Non sai abbastanza bene il francese?”, “Perché usi sempre parole inglesi, che problema hai con l’italiano?”, “Pensaci un secondo in più e trova la parola giusta!” – queste sono le critiche che io e tutti i code-switcher ci sentiamo rivolgere spesso. Chiaramente esiste un valore intrinseco nel voler parlare fluentemente in una sola lingua, dimostrando di essere in grado di mantenerla separata dalle altre.

Nel mio caso penso che sia un po’ per pigrizia linguistica e un po’ per mancanza di full proficiency (competenza completa?) nelle altre lingue che parlo. A volte mi ci vuole troppo per trovare l’espressione giusta, o capisco che non potrei finire una frase in francese (ad esempio per ragioni grammaticali), quindi passo all’inglese. Oppure se parlo in francese dopo giorni interi in cui ho parlato solo inglese mi capita di cambiare lingua a metà frase senza neanche accorgermene. Ma volenti o nolenti questo è il modo in cui io e tanti altri expat parliamo. Alla fine cosa c’è che non va? Voilà quoi.

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