iStock_000051838090_LargeDiciamoci la verità: da quando Dante ha pubblicato la Commedia fino a poco prima che Louis Armstrong iniziasse a farsi conoscere anche fuori New Orleans, l’Italia è stata un punto di riferimento per artisti di tutte le discipline, dalla poesia alle arti figurative, dalla letteratura alla musica. Una voce che dettava non solo gli stili e i canoni estetici, ma anche il vocabolario delle parole tecniche di una certa disciplina, un gergo, un lessico settoriale che si è guadagnato una diffusione di livello europeo, se non in molti casi mondiale.

Poi nel campo della musica è successo che nel ‘900 si sono affermate altre “egemonie” culturali: altre nazioni hanno iniziato a inventare nuovi generi musicali, a costruire nuovi strumenti e inventare nuove tecniche esecutive. Per esempio, è arrivata gente come Leo Fender o come Lester William Polfuss, meglio conosciuto come Les Paul, ed è stato così che abbiamo imparato cosa fosse un pick-up, mentre gente come B.B. King ci ha insegnato cosa fosse il blues, giusto per fare qualche esempio. È stato nel ‘900 che abbiamo iniziato a usare parole straniere come queste nella nostra lingua. Fino ad allora, il mondo girava al contrario: l’egemonia culturale dell’Italia nei secoli precedenti, in particolare quella musicale tra ‘600 e ‘800, ha fatto sì che fossero le nostre parole a fare capolino in altri sistemi linguistici.

Opere di compositori come Giacomo Puccini o Vincenzo Mascagni iniziarono a viaggiare al di fuori della nostra penisola e con loro viaggiava anche una serie di parole italiane. Molte di queste parole, sono state importate in altre lingue, e sono rimaste così come le conosciamo noi; basti pensare a parole come viola (così anche in spagnolo e inglese), violoncello (così in inglese e tedesco, anche se è più diffusa la contrazione cello), pianoforte (in francese, tedesco, spagnolo), o parole come soprano, tenore, contralto e baritono (rimaste pressoché immutate in inglese, spagnolo, tedesco e francese), oppure alle parole che indicano il tempo musicale, come adagio, allegro, presto o le modalità di esecuzione, come trillo e pizzicato. In altre lingue, il prestito linguistico ha subìto un leggero cambiamento della parola, pur restando ben evidente la provenienza italiana; esempi di ciò si trovano in tantissime lingue, anche in quelle che ci possono sembrare più lontane dall’italiano per distanza geografica o per diverso ceppo linguistico, come rumeno (chitar, flaut, sopran, oltre a pizzicato e crescendo), albanese (kreshendo, maestozo, vivaçe), ungherese (szonáta, szopran), danese (klarinet, tremolo), russo (krešendo, largo, largetto) e persino islandese: in pratica, anche tra le montagne e i ghiacciai di Björk si parla di kontrabassi, kvartett o barítón.

 

I. Bonomi, V. Coletti, La lingua italiana nel mondo, 2015, Accademia della Crusca, Firenze

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