Sull’importanza della traduzione nel campo letterario ed editoriale non ci sono dubbi: è sufficiente entrare in una qualsiasi libreria per rendersi conto di quanto favorisca la diffusione delle opere a livello internazionale. Ma tutto ciò vale solo per il campo editoriale? Ovviamente no, e un esempio potrebbe essere il mercato discografico in cui la traduzione riveste, e ha rivestito soprattutto nell’Italia degli anni ’60 e ’70, un ruolo non indifferente, diventando un vero e proprio ponte culturale per la musica internazionale.

Il mercato discografico italiano è stato da sempre, così come lo è tuttora, molto aperto alle incursioni estere. Nel XX secolo, il mercato anglofono, soprattutto statunitense, è diventato una fucina di nuovi generi musicali e nuove correnti artistiche che in pochi anni hanno conquistato il mondo. È lì che sono nati il rock’n’roll, il blues, il jazz, il folk, il country, generi musicali che costituiscono tuttora la base da cui si sono sviluppati tanti altri generi contemporanei in tutto il mondo. Ed è sempre lì che sono nati molti volti noti della musica di quegli anni.

tradumondodiscoAlcuni gruppi o cantanti sono subito diventati dei fenomeni internazionali, basti pensare a Elvis Presley o ai Beatles, mentre per altri non è stato così facile. Un ostacolo alla diffusione era costituito dalle barriere linguistiche: in Italia, pochi capivano l’inglese ed era più difficile, quindi, capire il testo di una canzone, memorizzarlo o canticchiarlo. Ci fu chi, come Adriano Celentano, decise di risolvere il problema scrivendo Prisencolinensinainciusol, con un testo in uno pseudo-inglese completamente inventato. Per il resto degli artisti, si diffuse il fenomeno delle cover: le canzoni straniere, che fossero già brani di successo o brani ancora sconosciuti, venivano “prese in prestito” dalla scena musicale internazionale per tesservi sopra un testo in italiano, che poteva essere frutto di una traduzione fedele, una traduzione più o meno libera, o uno stravolgimento totale del testo, pur conservando quasi intatti gli arrangiamenti strumentali della canzone originale, così da renderla riconoscibile all’orecchio degli ascoltatori.

È così che il mercato italiano ha iniziato a inglobare canzoni straniere, grazie alle cover di artisti del calibro dello stesso Celentano, o di Caterina Caselli, i Dik Dik, Bobby Solo, Equipe 84, i Camaleonti, Gianni Morandi, Ornella Vanoni o Mina, ma la lista potrebbe essere interminabile. I Dik Dik, per esempio, portarono in Italia la splendida Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, con il titolo di Senza luce, e testo (stravolto) di Mogol.

Ci sono stati casi in cui dei cantanti italiani non solo hanno preso in prestito qualche canzone, ma hanno “importato” tutto un genere musicale, magari ispirandosi a qualche cantante straniero e traducendone anche qualche canzone. Fabrizio De Andrè, per esempio, ha contribuito alla diffusione in Italia del genere cantato dagli chansonniers francesi, come Jacques Brel e George Brassens. Di quest’ultimo ne tradusse anche qualche canzone, come Mourir pour des idées e Le gorille (Morire per delle idee e Il gorilla). Anche Francesco De Gregori, già ai tempi del Folkstudio (un celebre locale romano che, dal 1960, ha visto la nascita di tutti, ma praticamente tutti i più famosi cantautori italiani), si dedicò a qualche traduzione di Bob Dylan (come Desolation Row, tradotto insieme a De Andrè con il titolo di Via della povertà). Ma il debito di De Gregori verso Dylan va ben oltre le traduzioni: il modo di cantare, di scrivere, di suonare l’armonica e di fare folk, soprattutto nei primi anni, erano ispirati al cantautore statunitense.

Si può citare anche l’esempio della bossa nova, un genere nato in Brasile, che costituisce una splendida fusione tra samba e jazz. Anche grazie alle traduzioni, la bossa nova si è diffusa a livello mondiale e alcuni brani, come Garota de Ipanema (tradotto in inglese con Girls from Ipanema)sono diventati nel tempo dei veri e propri standard (nel linguaggio del jazz, è un tema musicale considerato un classico universalmente riconosciuto).

Ovviamente, le traduzioni e le cover esistono anche in altri paesi, e non di rado vengono prese in prestito canzoni dal mercato italiano. Per esempio, nei mercati ispanici, sia in Spagna sia in America Latina, esistono traduzioni di canzoni italiane, a volte cantate dallo stesso autore, come Eros Ramazzotti, Laura Pausini o Gianluca Grignani, per citarne alcuni.

C’è da dire che il fenomeno delle cover è abbastanza controverso, dato che spesso fa storcere il naso ai puristi, e non è neanche difficile capirne il perché: da un lato, certi classici della musica vengono definiti intoccabili, inviolabili, dall’altro lato, la qualità di alcune cover è veramente molto discutibile. Basti pensare (parere sicuramente opinabile) a Vasco Rossi, con Creep dei Radiohead, Marco Masini con Nothing Else Matters dei Metallica, Gatto Panceri con Lullaby dei Cure o Nino D’Angelo con Let il Be dei Beatles. A volte, anche gli stessi artisti, magari spinti dalla casa discografica, decidono di fare la cover di una loro stessa canzone, e i risultati, anche qui, possono essere di dubbio gusto, come nel caso di David Bowie che, con la complicità del testo di Mogol, ha cantato Space Oddity in italiano (e mi costa veramente molta fatica ammettere che Bowie abbia fatto qualcosa di non bello nella sua carriera).

Poi ci sono episodi divertenti, come Second me, canzone degli Elio e le Storie Tese, che costituisce la traduzione letterale in inglese di un testo italiano. Per “letterale” intendo parola per parola, con gli inevitabili e, dato che si parla degli EelST, voluti strafalcioni del caso.

Chiudo segnalando una buona traduzione di una bellissima canzone di Jacques Brel, La chanson de vieux amants, cantata da Franco Battiato con il titolo di La canzone dei vecchi amanti e inclusa nella raccolta Fleurs del 1999. È una traduzione abbastanza fedele del testo francese, con gli adattamenti del caso dovuti per lo più alle costrizioni della metrica e delle rime.

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