(Traduzione di Umberto Pavano)

Dopo essere stato lanciato dagli accademici inglesi, il termine “politicamente corretto” è entrato a far parte della vita di ogni britannico a partire dai primi anni ’90. I mass media hanno dovuto rivedere le loro politiche editoriali, cercando di evitare il più possibile le discriminazioni basate su sesso ed etnia. Com’era prevedibile, questi cambiamenti hanno incontrato le critiche di molti oppositori, convinti che a farne le spese fosse la libertà di espressione. Tuttavia, se consideriamo il genere non soltanto una mera questione di sesso biologico, ma anche un fattore culturale che, come una lingua, cambia nel corso del tempo, negli ultimi vent’anni possiamo osservare dei piccoli e continui cambiamenti a carico delle parole connotate dal punto di vista del genere. All’alba del 2016 ci tocca fare un bilancio delle parole scomparse e delle combinazioni di lettere considerate ad alta connotazione di genere.

“God the father” (Dio Padre), “stewardess” (hostess) e “fireman” (pompiere) hanno lasciato il posto ai loro successori più neutrali, ossia “God the creator” (Dio Creatore), “flight attendant” (assistente di volo) “fire-fighter” (vigile del fuoco). Nel caso di parole come “Policeman” (poliziotto), si è fatto ricorso alla controparte femminile, ossia “policewoman”; processo che ha interessato anche termini come “business man” (uomo d’affari), “spokesman” (portavoce) e “waiter” (cameriere). Una serie di novità linguistiche che dovrebbero essere accolte con un caloroso benvenuto, se non fosse che la neutralità di genere non è totale. Nonostante sia un processo nato sotto la stella del politicamente corretto, la creazione di alternative linguistiche al maschile o al femminile per i titoli professionali marca comunque una distinzione di genere tra persone che conducono lo stesso lavoro. Dopotutto, l’inglese è una lingua senza distinzione di genere grammaticale, quindi in queste circostanze, spostare l’attenzione sul sesso di una persona è inutile e irrilevante.

Un classico esempio del politicamente corretto in questo ambito è “male nurse” contrapposto alla semplice “nurse”. La definizione di “nurse” (infermiera) è stata fino a qualche tempo fa considerata una figura femminile. Quella di anteporre “male” (maschio) è una scelta compiuta da chi non è al passo con i tempi e non sa che la definizione di “nurse” è diventata neutrale (“una persona il cui lavoro consiste nell’assistere i pazienti”; Cambridge Dictionaries Online) o da coloro i quali giudicano necessario operare una distinzione di genere nell’ambito di una determinata professione. Per esempio, alcune donne considerano la distinzione di “nurse” come un modo non discriminante per essere più chiari.

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Nelle lingue romanze, in cui le distinzioni di genere sono tipiche della grammatica, tutta questa discussione potrebbe sembrare meno rilevante di quanto non lo sia per la lingua inglese. Tuttavia, può capitare che alcuni meccanismi linguistici implichino un certo senso di inferiorità della donna, senza che noi ce ne rendiamo conto. In italiano, per esempio, il suffisso “-essa” per le parole “dottore” e “professore” indicava originariamente la moglie del dottore o del professore, implicando una posizione professionale subordinata per la donna. Anche nel caso in cui esista un titolo professionale al femminile, come con ministro/ministra, la forma maschile viene ancora preferita nella formazione del plurale, mentre il femminile viene spesso ridicolizzato, accostato per assonanza alla parola “minestra”. Sarebbe opportuno prendere in considerazione le differenze di genere anche al di fuori della lingua, ma non se questo va a discapito di una delle due parti, o se è considerato irrilevante.

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Nonostante la continua ricerca del “politicamente corretto” abbia coinvolto tutti i mezzi di comunicazione, le parole e le espressioni con connotazione di genere sono ancora numerose, sia in italiano sia in inglese, basti pensare a “madrelingua”, “patria”, “middleman” (mediatore) e “no man’s land” (terra di nessuno). Tuttavia, l’implementazione di modifiche in una lingua è molto più complessa di quanto si possa immaginare. La lingua è un prodotto e un riflesso dell’identità culturale, sociale e politica; cancellare una parola significa ignorare il delicato intreccio di storia e formazione di una lingua. Nell’accostamento di genere e forma linguistica, le differenze biologiche, strettamente legate alla concezione della donna come madre, hanno da sempre giocato un ruolo chiave. L’evoluzione linguistica è inevitabile ed è controllata da noi in quanto collettività. Dobbiamo solo cercare di non essere eccessivamente sensibili, ma di essere semplicemente coscienti del peso delle parole che scegliamo per esprimerci.

Possiamo mostrare una sensibilità linguistica ricorrendo a pronomi collettivi come “one”, “you” o “their” invece di “his” o “her” in inglese (contemplando anche gli individui transgender, sempre più integrati nella società odierna), dire “le persone” o “il genere umano” invece che “gli uomini” in italiano.

Attraverso la nostra creatività possiamo cercare nuovi modi di espressione.

Se siete interessati a questo argomento, vi consigliamo alcuni dei primi libri che l’hanno affrontato, come “The Dictionary of Bias-Free Usage: A guide to Non-discriminatory language”, “The Handbook of non-sexist writing” e “The Elements of non-sexist Usage: A guide to inclusive spoken and written English”.

Di Amy Flynn e Sophie Miller-Molloy

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